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Stato Assoluto

 L'epoca che precede la formazione dello Stato Assoluto era caratterizzata da un ordine giuridico pluralista e da un decentramento politico del potere.

Con la Pace di Westfalia del 1648, gli Stati per la prima volta si riconobbero quali enti indipendenti e pariordinati, questo contribuì non solo a porre fine alle guerre di religione ma soprattutto ad affermare l'idea dello Stato quale forma di convivenza.

Il Re doveva concentrarsi sulla indipendenza della nazione, dichiarando assoluto il potere. Tale indipendenza tuttavia richiedeva nuove forme di riscossione di tributi, un esercito permanente per la difesa e una burocrazia professionale per il controllo del territorio.

L'accentramento dei poteri diede un nuovo significato alla natura delle funzioni pubbliche, non più di matura patrimoniale-privatistica nella quale beni e funzioni appartenevano Re bensì politico-pubblicistica che appartenevano invece allo Stato.


SOVRANITA'

L'idea della sovranità dello Stato è ascritta a due studiosi:

Hobbes - Scrive nel XVII quando suo paese era dilaniato dalle guerre di religione. Contesta l'idea del potere comò qualcosa di dato, per cui cerca di capire a quali condizioni lo Stato diventa sovrano, arrivando alla conclusione di una convenzione tra sudditi e Re.




Bodin - Scrive nel XVI, afferma che la sovranità e l'iscrizione di assolutezza del potere regio consiste nel legiferare senza essere essere soggetti all'autorità della legge. Il sovrano è assoluto in quanto indipendente da ogni potere, tuttavia deve sentirsi vincolato alle leggi di Dio, della natura e alle diverse leggi comuni a tutti gli uomini, distinguendo il poter assoluto dal dispotismo.



Il Re è dunque tenuto a comportarsi come un privato, per ciò non bisogna mai confondere Legge - Vincola tutto tranne sé stesso e convenzione, che invece vincola entrambi le parti.

Possiamo notare inoltre come nello Stato Assoluto si ha una negoziazione molto attiva tra Re e sudditi a ridosso della funzione legislativa.

Nell'ancien Regime la titolarità degli uffici pubblici veniva affidato a chi li avesse acquisiti, il re chiamava i nobili a Corte mentre gli editti fiscali venivano patteggiati direttamente col clero e con le communito di arti e mestieri.

Gradualmente si afferma il principio di territorialità grazie soprattutto alla delimitazione dello Stato Nazione, che porta lo Stato a monopolizzare la produzione di diritto positivo e quindi l'esclusività nella produzione normativa.

Questa delimitazione corrisponde nell'Assolutismo in uno Stato di guerra permanente che richiede la fedeltà al Re di tutti coloro che ora saranno chiamati cittadini, a prescindere dalla loro appartenenza sociale. Questo monopolio normativo mirava ad omogeneizzare il comportamento dei cittadini su tutto il territorio nazionale incontrando però forte resistenze laddove il diritto consuetudinario era ancora molto radicato.

Il monopolio legislativo del Re non significa però che la legge tratti tutti allo stesso modo: le franchigie, privilegi nobiliari erano tutti elementi in grado di legittimare l'idea di una disuguaglianza naturale.

Si era dunque formato un'instabile equilibrio nello Stato, percepibile soprattutto nei rapporti tra Stato e Società che potrebbe, se non gestito correttamente, portare al crollo istituzionale.

Se la società è inclusiva, articolata in modo flessibile tale da garantire l'assorbimento dei processi di trasformazioni, per quanto instabilie sia l'equilibrio le istituzioni non saranno minacciate. nelle società chiuse invece, resisteranno ai processi trasformativi, contribuendo al collasso istituzionale.

Essenziale infine fu il ruolo dei mercati, ma a differenza dell'epoca medievale, ora era organizzato su scala nazionale, in modo da favorire il profitto degli individui e le politiche adottate dagli Stati e gli interventi nell'industria furono fondamentali in questo processo.

Lo sviluppo del mercato e del commercio portarono alla nascita di una nuova classe sociale - borghesia capitalistica - cui disuguaglianza si poggiava esclusivamente sulla disuguaglianza economica ossia possesso di capitali e non basati su criteri decisi aprioristicamente.

In Francia questi processi trasformativi consentirono di percepire le disuguaglianza e i privilegi previsti dal Legislatore come non ascrivibili ad un ordine dato ossia come qualcosa di naturale che doveva essere necessariamente accettato, ma come il prodotto di decisioni politiche e negoziali dalla cui produzione erano stati esclusi.

Queste percezione della disuguaglianza portò i rivoluzionari francese a mettere in discussione la fonte del potere sovrano.

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